Alghero, capitale della Riviera del Corallo, conserva intatte le tradizioni e la lingua della Catalogna, da cui è stata dominata per secoli.
La sua storia è tuttavia ben più antica, come testimoniano i complessi nuragici di Palmavera e di Sant’Imbenia. Di particolare interesse sono le domus de janas di Santu Pedru e Anghelu Ruju, per le rocce di color rosso ocra utilizzate in epoca arcaica per i riti del sangue e della rigenerazione.
Doppiamente attraente è il Museo etnografico Sella e Mosca, ospitato all'interno dell'omonima tenuta vinicola. Tra i vini più rinomati di questa cantina spiccano l’Anghelu Ruju, un Cannonau invecchiato, e il Vermentino di Sardegna.
L’area marina protetta di Capo Caccia – Isola Piana custodisce una spettacolare grotta marina, la Grotta di Nettuno, che conserva numerose stalattiti e stalagmiti. Da non perdere il Museo MareNostrum Aquarium, che custodisce una ricca fauna marina e d’acqua dolce, e il Museo del Corallo.
Per tutto il mese di dicembre e sino ai primi di gennaio si svolge il Cap d’Any de l’Alguer, il Capodanno di Alghero, conosciuto in tutta la Sardegna per i numerosi spettacoli e concerti che lo animano.
Il momento più sentito dell'anno è però quello della Settimana Santa, con i suggestivi riti della tradizione spagnola.
Alghero si trova a circa 37 km da Sassari, lungo la SS 127 bis.
Il contesto ambientale
Alghero è ubicata in un lembo di terra affacciato sul mare, lungo la cosiddetta "Riviera del Corallo". A vocazione turistica, è nota per le spiagge di sabbia bianchissima oltre che per la lunga pineta che parte dall'abitato e prosegue in direzione Porto Conte. L'entroterra è ricco di siti archeologici che risalgono all'età preistorica. La città conserva una forte identità linguistica e culturale catalana e un centro storico assai significativo, di fisionomia quattrocentesca.
Descrizione
Nel centro storico di Alghero si distingono tre nuclei principali: un primo nella parte N/O, sviluppato tra via Sant'Erasmo, via Ospedale, via Santa Barbara e via Manno, collegato alla Piazza civica, centro istituzionale, e al nucleo militare di Castellas; un secondo in corrispondenza della serie di strade parallele alla linea di costa e comprese tra la via Carlo Alberto e la via Cavour, collegamento tra le abitazioni vicine alla cattedrale di Santa Maria e i quartieri più modesti, sorti a S; un terzo polo, del XV secolo, a E, tra via Gilbert Ferret e via Roma.
Alghero fu eretta nel XII secolo dalla famiglia dei Doria. La scelta di costruire una città fortificata proprio in questa zona fu dettata dalla natura stessa del luogo, facilmente difendibile dagli attacchi esterni. La forma della città seguì le linee del promontorio su cui fu impiantata, con funzione di approdo per le navi provenienti dalla Liguria.
Della fase romanica dell'insediamento fortificato si conservano scarsissime tracce, inglobate nelle strutture erette dopo la conquista aragonese tra il XIV ed il XV secolo. Lo sviluppo del centro urbano seguì la direttrice che dal porto conduceva all'interno, con l'accrescimento, a S, del quartiere popolare già costruito in precedenza. Due erano le piazze principali: le odierne Piazza civica e Piazza del Teatro. A N era ubicata la cattedrale dedicata a Santa Maria, a S/E la chiesa e il convento di San Francesco. Furono varie, nel corso dei secoli successivi, le ristrutturazioni; importante quella del 1726 a opera dei piemontesi.
Vedi la pianta e le sezioni del monumento [19]
Storia degli studi
Nel 1951 Salvatore Rattu individuò nel XII secolo il primo nucleo fortificato e nel XV secolo il secondo momento formativo di Alghero. Concordano con questa linea interpretativa gli studi successivi, a partire da Rafael Catardi (1962). Una conferma documentaria è venuta dall'articolo di Angelo Castellaccio (1981), che evidenzia come all'inizio del XV secolo si iniziò a rinnovare il tessuto urbano e fortificato di Alghero. Una più precisa definizione cronologica si trova nell'ampia scheda nel volume di Francesca Segni Pulvirenti e Aldo Sari (1994) sull'architettura tardogotica in Sardegna.
Bibliografia
V. Angius, "Alghero", in G. Casalis, [i]Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna[/i], I, Torino, G. Maspero, 1833, pp. 77-126;
S. Rattu, [i]Torri e bastioni di Alghero[/i], Torino, 1951;
O. Montesano, [i]Alghero, origini e storia della città catalana[/i], Cagliari, 1956;
R. Catardi, Le antiche fortificazioni di Alghero, in [i]Atti del VI Congresso Internazionale di Studi Sardi[/i], I, 1962, pp. 525-536;
A. Castellaccio, [i]Alghero e le sue mura nel Libro dei Conti di Bartolomeo Clotes (1417-19)[/i], Sassari, 1981;
A. Ingegno, [i]Il Centro storico di Alghero[/i], Oristano, 1987;
G. Sari, [i]La piazza fortificata di Alghero: analisi storico-artistica[/i], Alghero, 1988;
F. Fois, [i]Castelli della Sardegna medioevale[/i], a cura di B. Fois, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1993, pp. 254-255;
F. Segni Pulvirenti-A. Sari, [i]Architettura tardogotica e d'influsso rinascimentale[/i], collana "Storia dell'arte in Sardegna", Nuoro, Ilisso, 1994, sch. 18; [20]
L. Deriu, [i]Alghero. La città antica. Immagini e percorsi[/i], Sassari, 2000, pp. 21-26.
La necropoli di Anghelu Ruju è la più estesa e importante di età preistorica nella Sardegna settentrionale, situata nell'entroterra di Alghero a 9 km dal mare, in una fertile piana solcata dal Rio Filibertu. La necropoli comprende 38 domus de janas scavate nell'arenaria e disposte in due nuclei di 7 e 31 unità; i picchi di pietra utilizzati per scavarle furono ritrovati numerosi all'interno delle tombe durante gli scavi. Le domus sono decorate con protomi e corna taurine scolpite nelle pareti e nei pilastri, sono presenti anche tracce di ocra rossa, il colore del sangue della rigenerazione e false porte di ascendenza orientale simboleggiano la porta dell'oltretomba.
Da Alghero si prende la "strada dei due mari". Dopo 10 km sono i visibili i cartelli che segnalano la necropoli.
Telefono +39 329 4385947 /+39 349 0871963
Sito internet: www.coopsilt.it [22]
e-mail: silt.coop@tiscali.it [23]
Percorrendo la SS 131, superata la città di Sassari, si imbocca la SS 200 in direzione Sorso. Dopo circa 40 km dal bivio si trova l'abitato di Castelsardo, meta turistica assai nota e frequentata.
Il contesto ambientale
L'abitato di Castelsardo occupa una collina a picco sul mare, in cima alla quale si trova il centro storico, che corrisponde al nucleo urbanistico dell'antica Castelgenovese; dal promontorio si espande la parte nuova della cittadina, in una serie di anelli concentrici.
Descrizione
Castelsardo è una delle cittadine più pittoresche in Sardegna, soprattutto per via del suo centro storico, arroccato su un promontorio a picco sul mare. Ha mutato nome nei secoli, a seconda delle forze politiche che l'hanno controllato, usandolo come roccaforte difensiva e punto strategico di controllo non solo del territorio ma anche delle rotte marittime che passavano per la Sardegna.
La città fortificata nasce col nome di Castelgenovese, come possesso della famiglia ligure dei Doria. Dopo aver costituito uno dei baluardi nella lotta contro le forze d'invasione catalano-aragonesi nel XIV secolo, viene da queste conquistata e diventa Castellaragonese, per poi assumere il nome attuale di Castelsardo. Il protrarsi dell'uso come città fortificata ha fatto sì che negli anni si siano modificate anche le strutture difensive, da semplici torrioni a sistemi di difesa bastionata più complessi.
Le mura che rinserrano il centro abitato si presentano come una serie di bastioni e torrioni, di cui alcuni a picco sul mare, raccordati da una poderosa cinta muraria. La tecnica muraria non è accurata: viene infatti utilizzato pietrame misto sommariamente lavorato, con l'utilizzo di cantoni squadrati per dare solidità agli spigoli.
È difficile oggi leggere le strutture di epoca medioevale. Gli accessi al centro abitato avvenivano attraverso una porta "a mare", ad E, e una porta "di terra" a S. All'interno della cinta fortificata, di forma irregolare, a N/E si trovava la cattedrale, vicina alla porta "a mare", mentre a S/O si trovava il castello. Questo, costituito da una serie di ambienti addossati, comprendeva un vano centrale, residenza della famiglia Doria, dispense per i viveri, una cisterna, un avamposto di guardia per le truppe.
Storia degli studi
Gli studi su Castelsardo non possono prescindere dalla monografia di Salvatore Rattu sulle torri e i bastioni di Castelsardo (1953) e dal contributo di Foiso Fois nel volume "Castelli della Sardegna medioevale" (1992), volti a determinare la fisionomia storica e urbanistica dell'abitato fortificato.
Bibliografia
S. Rattu, [i]Bastioni e torri di Castelsardo[/i], Torino, 1953;
F. Fois, [i]Castelli della Sardegna medioevale[/i], a cura di B. Fois, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1992, pp. 270-275;
F. Pulvirenti-A. Sari, [i]Architettura tardogotica e d'influsso rinascimentale[/i], collana "Storia dell'arte in Sardegna", Nuoro, 1994, sch. 19. [25]
Si lascia la SS 129 al bivio per Ozieri; superato il piccolo centro di Esploratu ci si trova a Burgos. Per raggiungere il castello, ubicato alla sommità del colle, bisogna addentrarsi nel centro storico.
Il contesto ambientale
Il castello di Burgos si trova in cima a un picco granitico ai piedi del versante sud-ovest del Monte Rasu, a 647 m s.l.m., visibile anche da grande distanza, in un punto di importanza fondamentale per il controllo del territorio.
Descrizione
Il castello del Goceano, scenograficamente isolato, emana la suggestione delle fortificazioni legate agli eventi storici e alla vita quotidiana del Medioevo.
Secondo alcune fonti, venne edificato intorno al 1134 ad opera di Gonnario I sovrano di Torres. Alla fine del XIII secolo passò prima nelle mani di Genova, poi alla famiglia dei Doria; alla metà del XIV secolo fu acquisito dai sovrani d'Arborea, che per mezzo di esenzioni e privilegi decretarono il ripopolamento di tutta la zona. Intorno al 1516 il castello viene definito ancora in buono stato. Nel 1901 già se ne parla come di un rudere.
La struttura fortificata, dalla pianta irregolare allungata secondo le direttrici N/O-S/E, si articola in una cinta muraria, grosso modo a forma di "U", messa in opera in pietrame misto e laterizi, comprendente alcune feritoie fortemente strombate, un vano scavato nella roccia, e soprattutto la torre maestra. La parte bassa delle mura presumibilmente risale al XII secolo e fu innalzata ulteriormente sotto la dominazione aragonese, nel XV secolo.
La torre, a pianta quadrata, alta circa 16 m, è a due piani, in cantoni di calcare lavorati sommariamente e rinforzati con blocchi di vulcanite rossa negli spigoli. Non vi sono merli né mensole in aggetto nella parte alta della struttura. Diversi ambienti, delle cui fondazioni sono rimaste tracce, dovevano affacciarsi nel cortile interno della fortezza, dove si trova l'ingresso a un ambiente sotterraneo identificato come una cisterna. Al suo interno quest'ultima è intonacata, non molto ampia e voltata a botte.
A N della torre maestra si trova una serie di altri ambienti di incerto utilizzo. Si può ragionevolmente ipotizzare che fossero adibiti alle truppe e alla servitù che popolava il castello, anche se non vi sono resti materiali che aiutino a chiarire la funzione delle varie stanze.
Area del castello di Goceano [27]
Vedi la pianta e le sezioni del monumento [28]
Storia degli studi
La bibliografia essenziale sul castello di Burgos prende le mosse dalla voce "Goceano", curata da Vittorio Angius, nel 1841, per il "Dizionario" del Casalis. Successivamente si segnalano il contributo di Dionigi Scano (1907), l'articolo di Foiso Fois (1970), al quale spetta anche l'ampia descrizione nel volume "Castelli della Sardegna medioevale". Del 1993 è la sintetica scheda di Roberto Coroneo nel volume "Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300". Il contributo più recente è l'articolo di Daniele Vacca, pubblicato nel 2002.
Bibliografia
V. Angius, "Goceano", in G. Casalis, Dizionario geografico storico- statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, VIII, Torino, G. Maspero, 1841, pp. 167-174;
D. Scano, Storia dell'Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari, Montorsi, 1907, p. 392;
R. Carta Raspi, Castelli medioevali di Sardegna, Cagliari, 1933, pp. 95-98;
F. Fois, "Il castello di Burgos roccaforte del Goceano", in Anuario de Estudios Medievales, 7, 1970, pp. 709-724;
F. Fois, Castelli della Sardegna medioevale, a cura di B. Fois, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1992, pp. 231-244;
R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300, collana "Storia dell'arte in Sardegna", Nuoro, Ilisso, 1993, sch. 178. [29]
D. Vacca, "Il castello di Goceano o di Burgos", in Castelli in Sardegna. Atti degli Incontri sui castelli in Sardegna (2001-2002) dell'Arxiu de Tradicions, a cura di Sara Chirra, Oristano 2002, pp. 39-48.
Il castello di Burgos si trova in cima a un picco granitico ai piedi del Monte Rasu, visibile anche da grande distanza, in un punto di importanza fondamentale per il controllo del territorio. La maestosa struttura si trova in una posizione che lo rende particolarmente interessante, le sue fortificazioni sono legate agli eventi storici e alla vita quotidiana del Medioevo. Secondo alcune fonti, venne edificato intorno al 1134 ad opera di Gonnario I sovrano di Torres. La struttura fortificata, si articola in una cinta muraria con la torre maestra con pianta quadrata, alta circa 16 metri è con due piani.
Si lascia la SS 129 al bivio per Ozieri; superato il piccolo centro di Esploratu ci si trova a Burgos. Per raggiungere il castello, ubicato alla sommità del colle, bisogna addentrarsi nel centro storico.
Telefono: 079 793505; 3479018930
Gestione: Goceano Sviluppo a r.l.
Orario: estivo 8,30-13,00 e 15,30-18,30 (chiuso il lunedì se non festivo);
invernale 8,30-12,00 e 13,30-17,30/18,00
e-mail: sareggia@tiscali.it [31]
Per giungere ad Osilo si percorrono pochi chilometri lungo la SS 127 da Sassari in direzione Tempio Pausania.
Il contesto ambientale
Sulla sommità del Monte Tuffudesu, all'interno dell'abitato di Osilo, sorge il castello dei Malaspina. Tutta la zona circostante è fitta di siti archeologici di rilievo, che risalgono all'età preistorica.
Descrizione
Non si hanno dati certi sulla costruzione del castello di Osilo, per via ipotetica collocabile nel XII secolo. Nel 1272 la fortificazione compare tra i possessi della famiglia Malaspina, originaria della Lunigiana, il cui arrivo in Sardegna risale al 1016 in occasione della spedizione contro gli arabi guidati da Museto. In conseguenza di questa spedizione i Malaspina ebbero in ricompensa, dalla Santa Sede, una serie di terre sulle quali fecero costruire fortificazioni: una di queste era il castello di Osilo, a guardia delle frontiere dell'Anglona, della Nurra e della Gallura. Per tutto il XIV secolo il castello di Osilo fu al centro delle contese tra arborensi e aragonesi, cambiando spesso padrone, fino all'inizio del suo lento declino, all'inizio del XV secolo quando passò in feudo alla famiglia dei Centelles.
Articolato in una pianta ovale allungata, il castello doveva racchiudere uno spazio di circa 1000 mq: elementi costitutivi erano la cinta e due torri, una a pianta circolare di basalto scuro e una a pianta quadrata in conci di tufo. Circa la suddivisione degli ambienti interni non si può dire molto, vista la scarsità di resti; tuttavia si può immaginare che vi fossero alloggi per le truppe e per il castellano, così come depositi per viveri ed armi.
Storia degli studi
Per Osilo e il suo castello sono contributi significativi la monografia a cura di Francesco Liperi Tolu, del 1913 ma ristampata nel 1991, l'articolo di Angelo Castellaccio negli atti di un convegno del 1978 (pubblicato nel 1981) e la trattazione nel volume di Foiso Fois ''Castelli della Sardegna medioevale'', del 1992.
Bibliografia
V. Angius, "Osilo", in G. Casalis [i]Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, [/i]XIII, Torino, G. Maspero, 1845, pp. 629-631;
F. Liperi Tolu,[i] Osilo[/i], Sassari, 1913;
A. Castellaccio, "Il castello medioevale di Osilo", in [i]La Sardegna nel mondo mediterraneo[/i], Sassari, 1981, pp. 325-348;
F. Fois, [i]Castelli della Sardegna medioevale[/i], a cura di Barbara Fois, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1992, pp. 297-302.
Sassari è il più importante centro del nord della Sardegna, sia per la sua storia che per le attività economiche e culturali che vi si concentrano.
È abitata sin dall'antichità, come dimostra il complesso nuragico che sorge presso il Monte d’Accoddi. Esso comprende un imponente altare megalitico, unico per la sua forma che ricorda i santuari della Mesopotamia. Nella zona circostante sono visibili i resti di domus de janas, diversi menhirs e innumerevoli nuraghi.
Il centro storico ospita edifici religiosi di grande prestigio, come la Cattedrale di San Nicola di Bari, la chiesa di Santa Maria di Betlem e la chiesa di Sant’Apollinare, la più antica della città.
Di interesse naturalistico è il Parco di Monserrato, un’oasi verde alla periferia della città, che custodisce una flora molto variegata.
Il 14 e 15 agosto si celebra la grande festa della città, i Candelieri. Essa consiste in una processione di dieci monumentali ceri di legno. Questi vengono portati a spalla lungo le vie della città, per sciogliere il voto fatto alla vergine Assunta che, secondo la leggenda salvò la città dalla peste.
Particolarmente suggestivi sono anche i riti della Settimana Santa.
La penultima domenica di maggio si svolge la Cavalcata Sarda, una manifestazione che raccoglie i costumi tradizionali della Sardegna.
Sulla S.S. 131 in direzione di Sassari, superato il bivio per Platamona (al Km 222,3), si trova una strada, segnalata da cartelli turistici, che conduce al parcheggio con biglietteria. Proseguire a piedi per 100 m su una stradina lastricata che conduce al cancello di ingresso dell'area archeologica. Provenendo da Sassari è necessario arrivare al bivio per Bancali e qui svoltare a sinistra per immettersi nella corsia opposta e ritornare verso l'area archeologica.
Il contesto ambientale
L'area archeologica è situata in prossimità del margine del pianoro scavato dal rio d'Ottava, nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale.
Descrizione
Il complesso comprende un altare, un villaggio e una necropoli ipogeica.
L'altare è unico nel suo genere nell'isola e nel Mediterraneo occidentale. Si compone di grande terrazza tronco-piramidale (m 36 x 29; alt. m 5,40) e di una lunga rampa d'accesso trapezoidale (lungh. m 41,80; largh. m 7,00/13,50; alt. m 9,00). La muratura esterna è costituita da filari irregolari di grandi blocchi calcarei sommariamente sbozzati. La struttura contiene un riempimento stratificato di terra e pietre.
L'edificio si sovrappone ad un altare precedente formato da una terrazza quadrangolare di minori dimensioni (m 23,80 x 27,40; alt. m 5,50) e da una rampa (lungh. m 25; largh. m 5,5).
Sulla sommità della terrazza era situato il sacello rettangolare (m 12,85 x m 7,20) intonacato di ocra (il "tempio rosso"), del quale si conservano il pavimento e, in parte, il muro perimetrale (alt. m 0,70) con ingresso fiancheggiato da due buche; altre buche, destinate a contenere le travi portanti della copertura a doppio spiovente, sono presenti nel pavimento del vano.
Questo primo altare venne edificato in una fase evoluta di cultura Ozieri (3200-2800 a.C.) al centro di un coevo abitato di capanne quadrangolari, e sopra i resti di un più antico villaggio di capanne circolari forse risalente a fasi di cultura San Ciriaco (3400 a.C.).
Del villaggio Ozieri si conservano alcuni elementi collegati con la sfera del sacro: una tavola per offerte di trachite di forma irregolare (m 2,80 x m 2,18) - a ridosso del lato destro della rampa – e un menhir (alt. m 4,44) sul lato s., rialzato in anni recenti.
L'incendio dell'altare, ai tempi della cultura Filigosa (2800 a.C. circa), rese necessaria la realizzazione di una nuova struttura, quella oggi conservata.
Risale forse a questa fase un lastrone trapezoidale calcareo (m 3,15 x m 3,20) - situato nei pressi della rampa – poggiante su tre basi litiche e fornito di sette fori ai bordi e di un inghiottitoio naturale sottostante: forse una tavola per sacrifici cruenti.
Vicine al lastrone, ma estranee all'area archeologica, sono due pietre calcaree sferoidali di natura sacra (circonf. m 4,85; alt. m 0, 90 - diam. m 0,60).
Altre tre stele calcaree provengono dall'edificio: una (dentro la rampa), frammentaria (m 0,40 x m 0,36), presenta una losanga e delle spirali; la seconda (lato N della terrazza), alta m 1,15, mostra una figura femminile stilizzata; la terza (angolo d. della terrazza), ellittica (m 0,28 x m 0,18), è segnata da 13 scanalature parallele attraversate da almeno altre due perpendicolari.
Le capanne del villaggio che circondano l'altare e la rampa – risalenti in parte alla fase Abealzu (2600 a.C.) - hanno muri rettilinei formati da uno zoccolo di piccole pietre sul quale si appoggiava una struttura di mattoni crudi o di canne e frasche intonacata. Pali conficcati dentro buche nel pavimento sostenevano tetti di frasche a uno o due spioventi. I vani presentano focolari rettangolari, con bordo in rilievo, fatto di argilla.
Tra le strutture scavate è particolarmente interessante la "capanna dello stregone" - situata presso l'angolo NE della terrazza – trapezoidale, con 5 ambienti di forma irregolare coperti da un tetto ad unico spiovente; la capanna deve il nome a una punta di corno bovino e ad alcune conchiglie bivalvi trovate entro una brocca.
Il sito fu frequentato ancora ai tempi della cultura Monte Claro, del Vaso campaniforme e Bonnanaro, e più sporadicamente, in età nuragica, fenicio-punica, romana e medievale.
La necropoli è scavata nella parete calcarea prospiciente il corso del rio d'Ottava, a 500 m dall'altare. Si compone di otto ipogei pluricellulari spesso decorati da protomi bovine e da elementi architettonici.
Il contesto ambientale
Il complesso è al centro della piana di Cabu Abbas, nel Meilogu, regione della Sardegna nord-occidentale.
Descrizione
Un'apertura trapezoidale sopra l'architrave d'ingresso alla camera immette in un vano ellittico (largh. m 1,60; h m 4) illuminato da un finestrello e dotato di botola caditoia aperta sul suo pavimento.
La camera è circolare (diam. m 5,25; h m 7,93).
La scala d'andito (largh. m 1,30; h m 2,60), a sviluppo elicoidale e sezione ogivale con brevi tratti a piano inclinato, sale ai piani superiori e al terrazzo.
È illuminata da feritoie e mostra all'inizio del percorso una celletta ellittica con due nicchie e una feritoia.
Conduce poi all'andito del primo piano piattabandato (m 1,85x1,25; h m 2,20) illuminato da un finestrone architravato con spiraglio di scarico.
La camera del primo piano, circolare (diam. m 4,85; h m 5,33), è dotata di un bancone-sedile e di due nicchie sopraelevate, la prima provvista di feritoia.
La scala conduce poi alla camera del secondo piano, residua per il filare di base (diam. m 4,25; h m 1,45). Ha l'ingresso ad O e mostra sul pavimento un profondo ripostiglio a pozzo (largh. m 1,60-2,45; prof. m 2,40).
Una rampa finale conduceva in origine al terrazzo.
Il bastione (m 38,80 x m 39; h m 9) - a due piani - racchiude sulla fronte due torri e il cortile, ed ingloba posteriormente una terza torre posta in asse con l'ingresso e il mastio.
L'ingresso del bastione, trapezoidale (m 0,80x1,82), è realizzato nella cortina S-E. Chiuso da un possente architrave sovrastato da finestrino di scarico, introduce nell'andito piattabandato - con ampia nicchia sulla sinistra - che sfocia nel cortile.
Questo ha pianta sub-trapezoidale (m 19,25x7,05) ed è dotato di un pozzo con parapetto (diam. m 0,55; prof. m 5). Vi si affacciano gli ingressi delle due torri frontali, dei corridoi del piano terra e delle scale che portano ai piani superiori.
Le torri secondarie, circolari (diam. m 5,40-5,70; h m 6) e dotate di numerose feritoie, si collegano al cortile con brevi anditi architravati e alla torre posteriore con lunghe gallerie che si sviluppano in parallelo alle cortine; le gallerie hanno sezione angolare (lungh. m 23, largh. m 2; h m 4) e sono illuminate da numerose feritoie,
I corridoi sono collegati tra loro e al cortile attraverso anditi trasversali.
La torre posteriore (diam. m 5,80; h m 7,55), l'unica con ingresso esterno (largh. m 0,80; h m 1,55), presenta un pozzo (largh. m 1,50; prof. m 2,90).
Sul cortile interno si aprono anche gli ingressi sopraelevati alle scale che portano alle gallerie superiori.
Queste (largh. m 1,50; h m 3) comunicano fra loro mediante un andito trasversale e mostrano vani sussidiari con falsa volta.
Le scale conducevano con una seconda rampa, parzialmente conservata, agli spalti del bastione.
Le fasi cronologiche del complesso si collocano dal Bronzo medio al Ferro (costruzione del mastio, erezione del bastione trilobato, impianto e successiva fase edilizia del villaggio) fino all'uso in età storica. I materiali provenienti dagli scavi sono visibili presso il Museo della Valle dei nuraghi del Logudoro-Meilogu di Torralba.
Area archeologica di Santu Antine [36]
Vedi la pianta e le sezioni dei monumenti [37]
Dalla Strada Statale 131 "Carlo Felice", da Cagliari a Sassari, si esce allo svincolo per Torralba al km 173,200 e si volta in direzione di Bono; superata la stazione ferroviaria di Torralba, il nuraghe, che è già ben visibile, si raggiunge dopo poche centinaia di metri: una stradina laterale, sulla destra, conduce direttamente all'area archeologica. Il contesto ambientale Il complesso è al centro della piana di Cabu Abbas, nel Meilogu, regione della Sardegna nord-occidentale. Descrizione Il nuraghe, uno dei gioielli dell'architettura protosarda, è costituito da un mastio e da un bastione trilobato. Attorno si estende un abitato di capanne circolari nuragiche e di edifici rettangolari di età romana. Il mastio - circolare (diam. m 15,50; h. res. m 17,55), originariamente a tre piani e terrazzo - è costruito alla base con file irregolari di blocchi di basalto appena sbozzati e, superiormente, da filari orizzontali di conci più piccoli perfettamente sagomati. L'ingresso, rettangolare (m 0,78x1,62), sormontato da un architrave con finestrella di scarico, si apre a S-E. Esso immette in un andito piattabandato (m 5,40 x1,53; h m 2,60) dove si aprono, a s., la scala d'andito, e a d. un corridoio anulare (largh. m 1,20; h m 3,15); questo gira intorno alla camera alla quale è collegato da tre ampi accessi con spiraglio di scarico. Il corridoio è illuminato da 9 feritoie strombate poste a distanza regolare. Un'apertura trapezoidale sopra l'architrave d'ingresso alla camera immette in un vano ellittico (largh. m 1,60; h m 4) illuminato da un finestrello e dotato di botola caditoia aperta sul suo pavimento. La camera è circolare (diam. m 5,25; h m 7,93). La scala d'andito (largh. m 1,30; h m 2,60), a sviluppo elicoidale e sezione ogivale con brevi tratti a piano inclinato, sale ai piani superiori e al terrazzo. È illuminata da feritoie e mostra all'inizio del percorso una celletta ellittica con due nicchie e una feritoia. Conduce poi all'andito del primo piano piattabandato (m 1,85x1,25; h m 2,20) illuminato da un finestrone architravato con spiraglio di scarico. La camera del primo piano, circolare (diam. m 4,85; h m 5,33), è dotata di un bancone-sedile e di due nicchie sopraelevate, la prima provvista di feritoia. La scala conduce poi alla camera del secondo piano, residua per il filare di base (diam. m 4,25; h m 1,45). Ha l'ingresso ad O e mostra sul pavimento un profondo ripostiglio a pozzo (largh. m 1,60-2,45; prof. m 2,40). Una rampa finale conduceva in origine al terrazzo. Il bastione (m 38,80 x m 39; h m 9) - a due piani - racchiude sulla fronte due torri e il cortile, ed ingloba posteriormente una terza torre posta in asse con l'ingresso e il mastio. L'ingresso del bastione, trapezoidale (m 0,80x1,82), è realizzato nella cortina S-E. Chiuso da un possente architrave sovrastato da finestrino di scarico, introduce nell'andito piattabandato - con ampia nicchia sulla sinistra - che sfocia nel cortile. Questo ha pianta sub-trapezoidale (m 19,25x7,05) ed è dotato di un pozzo con parapetto (diam. m 0,55; prof. m 5). Vi si affacciano gli ingressi delle due torri frontali, dei corridoi del piano terra e delle scale che portano ai piani superiori. Le torri secondarie, circolari (diam. m 5,40-5,70; h m 6) e dotate di numerose feritoie, si collegano al cortile con brevi anditi architravati e alla torre posteriore con lunghe gallerie che si sviluppano in parallelo alle cortine; le gallerie hanno sezione angolare (lungh. m 23, largh. m 2; h m 4) e sono illuminate da numerose feritoie, I corridoi sono collegati tra loro e al cortile attraverso anditi trasversali. La torre posteriore (diam. m 5,80; h m 7,55), l'unica con ingresso esterno (largh. m 0,80; h m 1,55), presenta un pozzo (largh. m 1,50; prof. m 2,90). Sul cortile interno si aprono anche gli ingressi sopraelevati alle scale che portano alle gallerie superiori. Queste (largh. m 1,50; h m 3) comunicano fra loro mediante un andito trasversale e mostrano vani sussidiari con falsa volta. Le scale conducevano con una seconda rampa, parzialmente conservata, agli spalti del bastione. Le fasi cronologiche del complesso si collocano dal Bronzo medio al Ferro (costruzione del mastio, erezione del bastione trilobato, impianto e successiva fase edilizia del villaggio) fino all'uso in età storica. I materiali provenienti dagli scavi sono visibili presso il Museo della Valle dei nuraghi del Logudoro-Meilogu di Torralba. Area archeologica di Santu Antine [36] Vedi la pianta e le sezioni dei monumenti [37]
Al centro della piana di Cabu Abbas, nel Meilogu, si individua la mole compatta del nuraghe Santu Antine, detto anche nuraghe di Torralba. Il Santu Antine è un nuraghe del tipo trilobato, in cui la torre centrale, alta circa 17 metri, è rinforzata e protetta da un robusto bastione articolato su tre torri minori. Attorno ad esso, si estende un abitato di capanne circolari nuragiche, fra cui spicca la "capanna delle riunioni", definita in questo modo per la presenza al suo interno di un sedile e di un focolare soprelevato realizzato in pietra calcarea. Abitazioni a pianta rettangolare, di periodo romano, testimoniano il riutilizzo della struttura in epoche successive a quella nuragica.
Dalla Strada Statale 131 "Carlo Felice", da Cagliari a Sassari, si esce allo svincolo per Torralba al km 173,200 e si volta in direzione di Bono; superata la stazione ferroviaria di Torralba, il nuraghe, che è già ben visibile, si raggiunge dopo poche centinaia di metri: una stradina laterale, sulla destra, conduce direttamente all'area archeologica.
Numeri di telefono:
3455052712
3409426315
3479138479
E-mail: nuraghes.antine@tiscali.it [39]
Per maggiori informazioni visita il Sito [40]
Dall'abitato di Bonorva, prendere la strada per Bono e percorrerla per circa 6 km, quindi svoltare a destra in una strada asfaltata che conduce alla chiesa campestre di Santa Lucia. Superarla e proseguire per altri 500 metri circa fino a raggiungere, sulla sinistra della strada, l'area recintata della necropoli.
Il contesto ambientale
La necropoli è ubicata sul limite orientale della piana di Santa Lucia, a pochi km di distanza dalla fonte nuragica di Lumarzu, dal nuraghe Puttu de Inza e dal nuraghe Monte Donna.
Descrizione
Le domus de janas che compongono questa necropoli, una delle più estese ed importanti della Sardegna, sono scavate sulla parete verticale e sul pianoro di un affioramento trachitico - alto circa 10 m e orientato a S - e consisono in una ventina di sepolture disposte per lo più ad una certa altezza rispetto al livello di campagna.
Cronologicamente sono inquadrabili nel neo-eneolitico, fra IV e III millennio a.C., ma le prime fasi di utilizzo sono da ricondurre alla Cultura di Ozieri (Neolitico finale: 3200-2800 a.C.).
Gli ipogei risultano accessibili solo in parte, in quanto il cedimento parziale del fronte di roccia ha causato la distruzione di alcuni vani e dei gradini o pedarole che consentivano di raggiungerli.
L'impianto planimetrico delle sepolture è monocellulare o pluricellulare: a quest'ultimo tipo appartengono tre tombe di particolare interesse: la "Tomba del Capo", la "Tomba a capanna circolare" e la "Tomba a camera".
La prima, di maggiori dimensioni comprende 18 ambienti disposti, in modo labirintico, attorno a due vani principali.
Un atrio rettangolare introduce nell'anticella semicircolare (diam. m 7,10) il cui soffitto riproduce i travetti radiali di un tetto semiconico.
Sulla parete di fondo si apre il portello d'ingresso alla cella principale (alt. m 1,80) sormontato da un falso architrave rettangolare a rilievo marcato.
Le due celle retrostanti, rettangolari (m 6,80 x 4,10; m 8 x 8,60), sono disposte in successione l'una dopo l'altra sullo stesso asse. Gli ambienti presentano due colonne rastremate verso l'alto, mentre sulla parete sinistra della seconda cella si conserva la riproduzione di una falsa porta.
Sulle pareti dei due ambienti maggiori si aprono i portelli d'ingresso di numerose celle secondarie caratterizzate dalla presenza di nicchie e banconi.
La "Tomba a capanna", vicina alla precedente, conserva un primo vano a pianta rettangolare (m 1,75 x 0,80) – caratterizzato dalla presenza sul pavimento di tre fossette per offerte – che immette nella cella principale circolare (diam. m 3; alt. m 2,30). Questo secondo ambiente presenta sul pavimento 15 fossette per offerte, alcune delle quali tagliate da una tomba a fossa successiva, e altre due piccole nicchie scavate sulla parete antistante l'ingresso.
Il soffitto, a cono, conserva la riproduzione di un tetto con travetti radiali. Sulle pareti laterali sono presenti i portelli di accesso a due vani aggiunti in un momento successivo al primo impianto della sepoltura.
La "Tomba a camera" - il cui originario ingresso monumentale con scalinata (largh. m 2) è crollato a causa del cedimento del fronte roccioso - riproduce gli elementi architettonici di un'abitazione a pianta rettangolare.
Un padiglione d'ingresso (m 2,85 x 2,75) conserva nel pavimento tre fossette e introduce nell'ambiente maggiore, rettangolare in pianta (m 4,50 x 3,06 x m 2).
Questo secondo vano presenta due pilastri e un soffitto che riproduce un tetto a doppio spiovente, con trave centrale e travetti laterali. Sulle pareti laterali del vano sono risparmiati alcuni cubicoli disposti a coppia.
Alcune altre sepolture della necropoli mostrano elementi architettonici o simbolici: sul pavimento di una delle tombe minori scavate sul pianoro dell'affioramento, ad esempio, è realizzato un focolare con anello circolare in rilievo e con fossetta centrale.
La necropoli venne riutilizzata per un lungo arco di tempo. In età medievale la "Tomba del Capo" venne trasformata in luogo di culto. Sulle pareti delle due camere più interne furono realizzati affreschi di soggetto cristiano.
Turris Libisonis era situata sul luogo dell'attuale Porto Torres [43], presso la foce del rio Mannu, al centro del golfo dell'Asinara, nella Sardegna settentrionale. La città si sviluppò in un tratto della costa favorevole dal punto di vista geografico e ambientale, con approdi e la possibilità dell'impianto di un porto fluviale sul rio Mannu.
Il paesaggio, al momento della fondazione della colonia romana, nel I sec. a.C., doveva mostrare un sistema insediativo più antico, data l'elevata concentrazione, tra le più alte nell'isola, di nuraghi lungo la costa e nell'immediato entroterra. La colonia, l'unica di cittadini romani della provincia "Sardinia", portava l'appellativo di "Iulia".
Dalla SS 131 all'altezza di Sassari, si percorre la strada in direzione Porto Torres. L'area archeologica più importante della città, presso la quale è stato edificato l'Antiquarium Turritano, si trova nella zona dietro la darsena vecchia, tra la stazione ferroviaria e il corso del rio Mannu, lungo la via Ponte Romano.
Telefono 079 500800/514591
Sito internet: www.comune.porto-torres.ss.it [44]
e-mail: turismo@comune.porto-torres.ss.it [45]
Turris Libisonis era situata sul luogo dell'attuale Porto Torres, presso la foce del rio Mannu, al centro del golfo dell'Asinara, nella Sardegna settentrionale. Il centro dell'attuale Porto Torres insiste in buona parte sulla città romana. Le antiche testimonianze sono visibili a N/O, tra la stazione ferroviaria e il corso del rio Mannu. Sono costituite dal ponte sul rio Mannu, da tre impianti termali ("terme Maetzke", "terme centrali", "terme Pallottino") e dal cosiddetto "peristilio Pallottino". Gli edifici sono delimitati da vie urbane pavimentate con lastroni di vulcanite, su cui prospettano anche delle botteghe ("tabernae"). In località Serra di Li Pozzi-via Liguria è visibile un tratto dell'acquedotto. Nell'area situata tra l'Antiquarium turritano e le "terme centrali" sono presenti resti di abitazioni e botteghe, una parte delle quali è inglobata e visibile all'interno del museo. Si tratta di caseggiati a più piani ("insulae") anteriori alla costruzione delle "terme centrali" e di una struttura, antistante le terme, che mostra un porticato costituito da coppie di pilastri e colonne in calcare e trachite, delimitato da una strada lastricata N/S. Sulla stessa strada si affacciano degli ambienti contigui adibiti a botteghe; alcuni conservano lacerti di mosaici e il pozzo per il rifornimento idrico. Le "terme centrali", dette "Palazzo di Re Barbaro", si datano, nella fase oggi visibile, tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C., ma ebbero probabilmente due fasi precedenti, l'una della fine del I sec. a.C. e l'altra del II sec. d.C. Le terme occupano un isolato delimitato da tre strade a N, O e S. Le murature sono in opera vittata (alternanza di laterizi e blocchetti di tufo, di calcare e laterizi misti a tegoloni) e le fondazioni in blocchi di calcare; nel settore centrale è ancora visibile un elaborato sistema di volte. L'ingresso era ubicato a N, preceduto da una scalinata (non conservata) che introduceva in un portico rettangolare. Da qui si accedeva alla sala per i bagni freddi ("frigidarium"), dotata di due vasche con pavimentazioni musive, come mosaicati erano i pavimenti e le vasche delle altre sale. Più avanti si trovava l'ambiente tiepido ("tepidarium") dal quale si passava ad un ambiente absidato che immetteva nei tre ambienti riscaldati ("calidaria") a chiusura del percorso termale. A S un criptoportico fungeva da infrastruttura per il deflusso delle acque. Sul lato E erano collocati gli ambienti per il riscaldamento dell'aria e dell'acqua ("praefurnia") ed i canali che convogliavano le acque reflue verso una fogna che correva lungo l'asse viario a E. Il quartiere abitativo del Colle del Faro, al quale si sovrapposero le "terme "Maetzke", è formato da tre isolati delimitati da due strade ortogonali N/S-E/O. Abitazioni e impianto stradale sono di età augustea. Alla fine del I-inizi del II secolo d.C. venne costruito l'impianto termale terrazzando con blocchi in calcare il pendio del Colle del Faro. Residua un'aula absidata, forse un ambiente riscaldato (la tecnica costruttiva è simile a quella delle "terme centrali"). Il "peristilio Pallottino", collocato ad O, lungo la via che conduce al ponte romano, mostra quattro colonne di marmo pertinenti al lato E di un portico pavimentato con lastre marmoree. Esso delimitava un peristilio lastricato con blocchi di calcare irregolare. In una fase successiva il portico fu chiuso con un muro a secco e alle lastre marmoree della pavimentazione primitiva fu sovrapposto in parte un mosaico policromo. Si è voluto riconoscere nella vasta area lastricata contornata dal peristilio il foro della città. Esso troverebbe in questo modo un'ubicazione urbanistica baricentrica e prossima all'area portuale, come in altri casi documentati di città marittime anche sarde (Nora). Lungo la via Ponte Romano, poco più ad O del "peristilio Pallottino", sono visibili i resti delle "terme Pallottino", della fine del III secolo d.C. Si osservano tre ambienti contigui riscaldati: il primo ha pianta rettangolare e vasca mosaicata; del secondo (scavato parzialmente) è visibile solo il lato corto absidato; l'ultimo presenta absidi sui due lati brevi. È probabile che il complesso si estendesse al di là della strada moderna. Il ponte romano, ancora perfettamente conservato, collega le due rive del rio Mannu. È costituito da sette arcate di dimensioni diverse e crescenti in altezza da E verso O (per consentire il collegamento a diversa quota delle due rive), e da piloni in calcare con rinforzi in vulcanite. Nell'aspetto attuale viene datato al I sec. d.C. Il tracciato dell'acquedotto è ricostruibile grazie ai resti rinvenuti in varie zone dai significativi toponimi (Fonte del Re, Fonte Manca, Fonte Gutierrez, Predda Niedda-Pischina, via Fontana Vecchia), lungo un percorso più o meno parallelo all'attuale SS 131, che adduceva l'acqua da Sassari, dove si trovavano le sorgenti (Eba Ciara-San Martino), alla colonia turritana.
Partendo dalla SS 131 all'altezza di Sassari, si percorre la strada in direzione N direttamente per Porto Torres. L'area archeologica più importante della città, presso la quale è stato edificato l'Antiquarium Turritano, si trova nella zona N/O dietro la darsena vecchia, tra la stazione ferroviaria e il corso del rio Mannu, lungo la via Ponte Romano.
Dalla SS 131 all'altezza di Sassari, si percorre la strada in direzione N direttamente per Porto Torres. L'area archeologica più importante della città, presso la quale è stato edificato l'Antiquarium Turritano, si trova nella zona N/O dietro la darsena vecchia, tra la stazione ferroviaria e il corso del rio Mannu, lungo la via Ponte Romano.
Il contesto ambientale
Turris Libisonis era situata sul luogo dell'attuale Porto Torres, presso la foce del rio Mannu, al centro del golfo dell'Asinara, nella Sardegna settentrionale.
Descrizione
Turris Libisonis si sviluppò in un tratto della costa favorevole dal punto di vista geografico e ambientale, con approdi e la possibilità dell'impianto di un porto fluviale sul rio Mannu.
L'area non sembra interessata da una precedente presenza fenicio-punica. Tuttavia il paesaggio, al momento della fondazione della colonia romana, nel I sec. a.C., doveva mostrare un sistema insediativo più antico, data l'elevata concentrazione, tra le più alte nell'isola, di nuraghi lungo la costa e nell'immediato entroterra. Lo stesso nome della città pare riecheggiare la presenza nel paesaggio di un elemento preesistente e visibile al momento della deduzione coloniale, ovvero un nuraghe.
La colonia, l'unica di cittadini romani della provincia "Sardinia", porta l'appellativo di "Iulia": per questo la sua deduzione viene attribuita a Cesare, che nel 46 a.C. soggiornò in Sardegna, o ad Ottaviano, dopo la vittoria di Filippi, nel 42 a.C.
I dati per una ricostruzione della forma urbanistica non sono molti, ma sufficienti per ipotizzare un primo insediamento presso il rio Mannu, dislocato su entrambe le rive, secondo il modello del porto-canale abbastanza diffuso in età repubblicana e all'inizio del periodo imperiale.
Tra la fine dell'età repubblicana e l'età augustea, la città venne dotata delle principali infrastrutture viarie e portuali, di un acquedotto e forse di un primo impianto termale (prima fase delle "terme centrali"?), assumendo connotati urbanistici e architettonici pienamente romani.
Per la prima età imperiale sono attestati quartieri abitativi nell'area dove sorgeranno le "terme Maetzke" e presso l'Antiquarium Turritano. Rimane incerta l'ubicazione del foro e le ipotesi finora avanzate (presso l'attuale piazza Umberto I o in corrispondenza del "peristilio Pallottino") necessitano di conferme.
Tra la metà del I e la metà del II sec. d.C. furono costruiti un bacino per la raccolta dell'acqua ("lacus") e forse le "terme Maetzke", e le "terme centrali" furono interessate da una seconda fase edilizia.
Tra la fine del II e il III sec. d.C. la città prosperò con i traffici marittimi, l'economia interna ceralicola e di allevamento, la pesca, l'attività estrattiva e artigiana. L'abitato si riorganizzò nei pressi del nuovo porto, forse presso l'attuale darsena; qui sorsero il magazzino od "horreum" (corso Vittorio Emanuele II) e un altro edificio (presso il Banco di Sardegna) probabilmente legato alle attività portuali.
La manutenzione ed il potenziamento del porto costituirono i maggiori interessi dell'amministrazione della colonia che commerciava direttamente con il porto di Ostia. Un funzionario era addetto alla gestione del porto fluviale ("procurator ripae"), mentre la marineria turritana è attestata dall'iscrizione di un mosaico del foro di Ostia ("navicularii turritani").
Tra il III e l'inizio del IV secolo d.C. si intensificò l'attività edilizia con la costruzione degli edifici ancora oggi apprezzabili nell'area archeologica e documentabile anche attraverso cospicui resti di decorazioni marmoree, bassorilievi, statue. Alcune iscrizioni ricordano costruzioni o restauri di edifici, come il restauro del tempio della Fortuna e della basilica con il tribunale (non ancora identificati) per iniziativa del governatore Marco Ulpio Vittore nel 244 d.C.
A questo periodo risalgono anche la costruzione del tratto di mura lungo la sponda d. del rio Mannu, l'ultima fase delle "terme centrali" e probabilmente le "terme Pallottino".
Tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. la città ospitò le sessioni giudiziarie provinciali ("conventus") e lo stesso governatore dell'isola, per alcuni mesi all'anno: ciò è attestato dalla citata iscrizione relativa al tempio della Fortuna, dalla dedica del governatore Valerio Domiziano, nel 305 d.C., in onore di Galerio Cesare e dalla dedica a Licinio Augusto da parte del governatore Tito Settimio Gianuario, tra il 312 e il 319 d.C.
La crescita urbana si arrestò tra la fine del IV e gli inizi del V sec. d.C..
Non si conosce la reale estensione della città, ma la dislocazione delle necropoli può dare dei punti di riferimento. Sono state identificate tre aree funerarie: la necropoli occidentale (o di Marinella) sulla riva sinistra del rio Mannu, quella meridionale (o di Monte Agellu) estesa al di sotto dell'attuale centro cittadino e quella orientale che si estende nel lungomare e che comprende l'ipogeo di Tanca Borgona, il complesso funerario di Scogliolungo, le tombe di Balai e il complesso ipogeico di San Gavino a mare.
Alla luce di queste considerazioni, appare poco probabile un'estensione della città fino all'area dell'attuale centro (corso Vittorio Emanuele II, area al di sotto della Banca Nazionale del Lavoro e presso la piazza Umberto I), se non per alcuni punti nei quali gli scavi hanno evidenziato strutture abitative e magazzini che si sovrappongono e che spesso vengono ricoperti da sepolture. È probabile che lo sviluppo di queste aree periferiche si riferisca al momento della massima espansione della città, in età severiana (III secolo d.C.).
Area archeologica di Turris Libisonis [48]
Storia degli scavi
Le prime indagini furono condotte nel 1614 dall'arcivescovo Gavino Manca di Cedrelles e interessarono l'interno della basilica di San Gavino. Nel 1819 il frate Antonio Cano scavò nella zona delle "terme centrali", ricorrendo all'utilizzo di polveri da sparo e distruggendo interi settori. La maggior parte dei successivi rinvenimenti archeologici si deve alle attività di sbancamento in occasione di lavori di pubblica utilità: la realizzazione della ferrovia (1872) e dell'acquedotto (1882), l'ampliamento della ferrovia (1924-1928). La Soprintendenza archeologica ha introdotto negli ultimi cinquant'anni, con buoni risultati, le moderne metodologie di scavo, ed ha operato, spesso in situazioni di emergenza, compatibilmente con le esigenze di sviluppo della città moderna. Massimo Pallottino e Guglielmo Maetzke portarono alla luce, tra gli anni 40' e 60', impianti termali, edifici pubblici, quartieri abitativi e produttivi. Dagli anni 70' ad oggi sono state indagate zone abitative e produttive poste al di sotto del centro cittadino e, soprattutto, aree cimiteriali. Attualmente si stanno conducendo scavi lungo il corso del rio Mannu, presso il Colle del Faro, relativi ad un edificio che è con tutta probabilità una villa.
Bibliografia
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A. Mastino, "Turris Libisonis romana", in [i]Porto Torres e il suo volto[/i], Sassari, Carlo Delfino, 1992, pp. 5-74;
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D. Rovina, "Turris Libisonis: strutture romane e altomedievali nell'area della sede del Banco di Sardegna", in [i]Materiali per una topografia urbana: status quaestionis e nuove acquisizioni. Atti del V convegno sull''archeologia tardoromana e altomedievale in Sardegna[/i], Oristano, S'Alvure, 1995, pp. 145-158;
M.C. Satta,"Nuovi contributi per una topografia urbana di Turris Libisonis: strutture termali e sepolture nel Corso Vittorio Emanuele", in [i]Materiali per una topografia urbana: status quaestionis e nuove acquisizioni. Atti del V convegno sull''archeologia tardoromana e altomedievale in Sardegna[/i], Oristano, S'Alvure, 1995, pp. 159-191;
C. Cazzona, "Nota sulla fondazione della colonia di Turris Libisonis: Iulii, Flavii, Aelii, Aurelii, e Lurii nelle iscrizioni", in [i]Studi Sardi[/i], XXXI, 1994-98, pp. 253-277;
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G. Manca di Mores, "Nuovi scavi e tecnologie avanzate nel centro storico di Porto Torres", in [i]L'Africa Romana. Atti del XIV convegno di studio[/i], Roma, Carocci, 2002, pp. 1151-1158;
A.R. Ghiotto, [i]L'architettura romana nelle città della Sardegna[/i], Roma, Quasar, 2004, pp. 195-197;
A. Mastino, [i]Storia della Sardegna antica[/i], Nuoro, Il Maestrale, 2005, pp. 273-283.
A Porto Torres si lascia la piazza Colombo rasente il porto lungo la via Mare, proseguendo sui lungomare Scogliolungo e Balai, fino alla chiesa di San Gavino a Mare o di Balai.
Il contesto ambientale
I lungomare di Porto Torres si snodano sulla costa calcarea traforata da grotticelle di erosione naturale. La chiesa è su una rupe alta sul mare.
Descrizione
La chiesa fu eretta attorno al 1850 sul luogo tradizionalmente venerato come la prima sepoltura dei martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario.
La cappella, abitualmente chiusa, viene aperta durante tutto il mese di maggio, allorché vi vengono trasferiti i simulacri lignei dei tre santi conservati nella basilica di San Gavino.
Attorno al piccolo edificio e con esso comunicanti si dispongono tre ambienti, in parte ricavati dentro la roccia, nei quali l'indagine archeologica ha riconosciuto l'utilizzo sepolcrale in età romana e altomedievale. L'ambiente visibile dal piazzaletto d'ingresso attraverso la grata è un ipogeo romano, mentre quello affiancato a s. della chiesa attuale sarebbe la presunta tomba dei tre martiri; infine quello ricavato dietro l'altare, coperto a botte, è probabilmente un sacello del VII secolo.
Storia degli studi
Il monumento è menzionato nei principali testi su Porto Torres.
Bibliografia
I. Principe, [i]Sassari. Alghero. Castelsardo. Porto Torres[/i], Bari, Laterza, 1983;
[i]Sardegna[/i], collana "Guida d'Italia", Milano, Touring Club Italiano, 1996.