Nel centro urbano di Olbia, percorso il Corso Umberto e superata la stazione ferroviaria, si svolta a destra nella via San Simplicio dove si erge la chiesa.
Il contesto ambientale
Olbia è una città di antica fondazione, probabilmente punica nonostante la tradizione leggendaria che la vuole colonia dei Greci in Occidente. La chiesa si colloca in un sito interessato da continuità insediativa, in posizione sopraelevata e in corrispondenza dell'antica necropoli occidentale romana.
Descrizione
San Simplicio è una delle chiese più imponenti e significative del Romanico sardo.
Per l'assenza di fonti documentarie che ne chiariscano la cronologia d'impianto, le proposte di datazione hanno oscillato tra il VII e il XII secolo. Oggi si è concordi nel fissarne la costruzione in tre fasi, tra la fine dell'XI e il primo ventennio del XII secolo.
La chiesa (m 33 x 13, alta 12 m circa) ha pianta a tre navate divise da arcate su pilastri e colonne, secondo un sistema alternato di sostegni.
Problemi di ordine statico causarono il crollo delle volte a botte (a d.) che coprono le navate laterali, per il peso eccessivo delle stesse in quanto realizzate, come il resto del monumento, in granito locale. Fu questo episodio a far mutare il progetto originario e a suggerire ai costruttori di inserire filari di mattoni in cotto che alleggerissero le strutture.
I capitelli sono anch'essi in granito. Quelli di pilastro sono schiacciati e hanno una forma a tronco di piramide. Tra quelli di colonna uno è del tipo ad angoli smussati, attestato nella valle del Po a partire dal secolo XI, mentre gli altri presentano la forma generale a tronco di cono rovesciato. Due di questi rappresentano l'unico esempio di capitelli decorati per il Romanico sardo. La resa approssimativa degli ornati è sicuramente attribuibile alla natura del granito, difficile da lavorare.
La navata centrale, coperta da un tetto ligneo, si conclude con l'abside a N/O. La facciata è divisa in due ordini. In quello inferiore si individuano tre specchi. Nel campo interno di un archetto, a s., una formella marmorea ha una scena di incerta interpretazione. Nello specchio centrale si apre il portale architravato con arco di scarico, in asse con la trifora dell'ordine superiore. Inserita nel campo incassato di un arco cieco, è costituita da due colonnine a nodo. Otto bacini ceramici completano la decorazione.
Castel Pedreso si raggiunge da Olbia imboccando la SP per Loiri. Dopo circa 3,3 km si trova una stradina con l'indicazione del castello.
Il contesto ambientale
I ruderi della fortificazione si situano a O della città di Olbia, in regione Casteddu. Per arrivare al sito è necessario salire per 1 km lungo le pendici del colle su cui il castello è costruito. Il colle è ricoperto di ulivi e disseminato di cavità naturali nel granito.
Descrizione
Nonostante i crolli, la visuale di Castel Pedreso da N lo fa sembrare ancora oggi poderoso ed inespugnabile.
Scarse le notizie storiche riguardanti la fortificazione: nel 1339 era castellano un frate dell'ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme; tra il 1355 e la fine del secolo il castello passa alternativamente nelle mani degli aragonesi e degli arborensi, per poi essere definitivamente abbandonato con la cessazione delle ostilità nell'isola, all'inizio del XV secolo.
La struttura del castello, oggi restaurato, si presenta agli occhi del visitatore come composta di pochi elementi: una cinta muraria di forma poligonale racchiude i resti di una torre a pianta quadrata. Le modifiche occorse alle finestre della torre indicano come questa, nel corso dei secoli, sia stata riutilizzata anche in tempi di non belligeranza, subendo le modifiche e gli adattamenti del caso.
Storia degli studi
Il Castel Pedreso o Pedres è descritto in un articolo di Maurizio Solinas, del 1988, e nel contributo di Foiso Fois in "Castelli della Sardegna medioevale", del 1992.
Bibliografia
D. Scano, [i]Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo[/i], Cagliari-Sassari, Montorsi, 1907, pp. 345-393;
R. Carta Raspi, [i]Castelli medioevali di Sardegna[/i], Cagliari, 1933;
M. Solinas, "Il Castello Pedres", in [i]Sardigna antiga: rivista di archeologia, storia, antichità[/i], 4, 1988, pp. 30-32;
F. Fois, [i]Castelli della Sardegna medioevale[/i], a cura di B. Fois, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1992, pp. 185-187.
Da Olbia in direzione dell'aeroporto, all'incrocio con la statale per Nuoro-Cagliari si svolta a d. sulla SS 125 per Monti sino all'incrocio con la SP 24 Loiri Porto San Paolo. La strada si percorre sino a raggiungere una carrareccia con cartello che segnala un canile; si continua per km 2 fino al parcheggio dal quale si dipartono alcuni viottoli con fondo di ghiaia; si prende il vialetto di d. e, lasciando il castel Pedreso a s., si procede per un centinaio di metri sino a raggiungere l'area archeologica.
Il contesto ambientale
La tomba è situata in un pianoro, ai piedi della collina dove sorge il castel Pedreso, a pochi chilometri dal golfo di Olbia, in Gallura, regione della Sardegna nord-orientale.
Descrizione
La sepoltura, costruita in granito, è il prodotto della ristrutturazione di una più antica sepoltura a galleria (o"allée couverte"), secondo una consuetudine documentata in altri simili monumenti della Gallura.
È costituita da un corpo tombale absidato, che racchiude al suo interno una camera funeraria, preceduto dall'emiciclo dell'esedra.
Il corpo tombale, rivolto a SE, risulta il più lungo sinora scoperto nell'isola (lungh. m 28,30; largh. m 6,00; alt. m 1,10). Presenta il profilo esterno realizzato con massi appena sbozzati disposti su filari regolari.
Tra il paramento e le pareti del corridoio si sviluppano due strutture murarie parallele.
La camera funeraria (lungh. m 13,30; largh. m 0,80; alt. m 1,50), accessibile attraverso un breve corridoio, ha pareti costruite con lastroni ortostatici - ciò che resta della sepoltura più antica - sui quali poggiano blocchi di medie dimensioni disposti su filari regolari.
Il pavimento era in origine lastricato; della copertura a piattabanda si conservano oggi dieci lastroni.
L'esedra (corda m 21,50) è delimitata da ortostati alla base dei quali si sviluppa un bancone-sedile conservato soprattutto nell'ala s. dell'emiciclo.
Al centro svettava la stele centinata della quale purtroppo resta soltanto una parte del basamento, con resti del portello, non più in posto.
La tomba presenta diverse fasi costruttive e cronologiche: nel Bronzo antico (1800-1600 a.C.) fu realizzata la sepoltura a galleria; nel Bronzo medio (1600-1300 a.C.) la sepoltura fu inglobata in una nuova struttura, la vera e propria tomba di giganti, che fu utilizzata anche nel Bronzo tardo (1300-900 a.C.).
Storia degli scavi
La tomba è stata scavata nel 1968 da Editta Castaldi.
Bibliografia
A. Taramelli, "Fogli 181-182: Tempio Pausania, Terranova Pausania" in [i]Edizione archeologica della carta d'Italia al 100.000[/i], 17, Firenze, Istituto geografico militare, 1939, p. 55;
D. Panedda, [i]L'agro di Olbia nel periodo preistorico, punico e romano[/i], collana "Collana di studi storici", Roma, L'erma, 1954, pp. 107-109, fig. 18;
E. Castaldi, "Nuove osservazioni sulle tombe di giganti", in [i]Bullettino di paletnologia italiana[/i], XIX, 77, 1968, pp. 7-25, 40-61, 65-77, 79-89, figg. 1-10, 21-29;
A. Sanciu, "Tomba di giganti di Su Monte de S'Ape", in [i]Olbia e il suo territorio[/i]. Storia e archeologia, Ozieri, Il torchietto, 1991, pp. 131-132, fig. 38;
M.A. Amicano-R. D'Oriano-A. Sanciu, [i]Da Olbia a Terra Nova: itinerari storici, archeologici, monumentali[/i], Olbia, Coop. Iolao, 2004, pp. 35-36.
Il tema principale consiste nella vasta esposizione di minerali e fossili. Destinato a diventare un "Centro di documentazione territoriale della scienza della terra e dell'uomo", al momento presenta una parte della collezione Casciu, costituita da circa 15.000 tra minerali e fossili. È articolato in 2 sezioni. I fossili sono ampiamente rappresentati dalle archeociatine alle trilobiti, sino ad elementi di flora e fauna più comuni. La sezione dei minerali è costituita da 15 campioni provenienti da varie parti del mondo e 110 campioni sardi. Di questi ultimi sono presenti i più diffusi ed importanti minerali legati alle situazioni giacimentologiche classiche, prevalentemente del Paleozoico, Mesozoico e Cenozoico. La barite è rappresentata in quasi tutte le varietà presenti in Sardegna, così come la calcite ed una ormai rara aragonite azzurra, tutti esemplari di apprezzabile taglia. Sono documentate le principali mineralizzazioni del Sulcis–Iglesiente, Medio Campidano e Cagliaritano. Gli esemplari di minerali nazionali ed internazionali valorizzano l'esposizione nel suo insieme, per la pregevolezza ed il valore didattico, contribuendo a dare al visitatore una visione più ampia dei fenomeni della mineralizzazione.
Indirizzo: via Mozart - 07021 Arzachena
tel. 0789 840106 - 0789 840107
Ente titolare: Comune di Arzachena
Orari: invernale 9.00 - 13.00; estivo da definire
Biglietto: € 1,50 (intero); € 0,50 (gruppi oltre le 10 persone). Esenzione per residenti, scuole di qualsiasi ordine e grado, visite di istruzione e ricerca scientifica
Biblioteca specializzata.
Da Arzachena si prende la SS 427 per Sant'Antonio di Gallura-Calangianus, da percorrere per circa km 3; si svolta a d. in direzione di Luogosanto e si percorrono circa km 1,8. Si svolta quindi a s. per Capichera e, dopo poche centinaia di metri, lasciata la macchina, si imbocca un sentiero a d. che porta, dopo un breve tratto, davanti alla tomba.
Il contesto ambientale
La tomba di giganti di Coddu Vecchiu o Capichera è situata nell'entroterra gallurese, a circa 10 km dal golfo di Arzachena; sorge su un terreno inclinato, alle falde di un'area collinare coltivata a vigneti.
Descrizione
Coddu Vecchiu è uno dei monumenti più suggestivi della Sardegna nuragica.
Costruita col granito locale, orientata lungo l'asse E-O, con l'ingresso a E, è il prodotto della ristrutturazione di una più antica tomba a galleria (o "allée couverte").
La sepoltura a galleria (lungh. m 10,50; largh. m 3,50-4,00) comprende un corridoio funerario rettangolare (lungh. m 9,00; largh. m 1,05/1,10) con paramento interno costruito con lastroni di base infissi a coltello sui quali poggiano blocchi disposti a filari in leggero aggetto. La copertura del vano è realizzata con lastre disposte a piattabanda, mentre il pavimento lastricato, in parte distrutto da scavi clandestini, segue la naturale pendenza del terreno.
Il paramento esterno è costituito da filari di pietre di medie dimensioni, con faccia a vista sbozzata, sovrapposte a scarpa.
A questa sepoltura venne aggiunta in un secondo momento, attraverso un piccolo corridoio di raccordo costituito da due lastroni infissi a coltello, l'esedra semicircolare delimitata da ortostati. Le lastre, ad altezza digradante verso i lati, sono sorrette posteriormente da una struttura muraria che, con andamento arcuato, collega l'emiciclo al corpo tombale. Al centro dell'esedra si erge la stele centinata (alt. complessiva m 4,04; largh. m 1,90), la più grande del genere finora rinvenuta in Sardegna. È costituita da due elementi sovrapposti - il riquadro inferiore e la lunetta superiore - entrambi ornati da una cornice a rilievo piatto. Nella parte inferiore si apre il portello arcuato (alt. m 0,67; largh. m 0,45) con cornice a rincasso.
Il monumento era in origine ricoperto da un tumulo prevalentemente costituito da pietre medio-piccole.
I materiali restituiti dallo scavo (tegami, ciotole carenate, vasi a collo rientrante, spiane con decorazione impressa ed altro) consentono di datare la prima fase della tomba alla cultura di Bonnanaro (Bronzo antico, 1800-1600 a.C.) e la sua ristrutturazione al Bronzo medio (1600-1300 a.C.).
Vicino alla tomba sono situati due nuraghi: uno ad O-SO, presso Punta di La Ettica, l'altro, ad E-SE, il più noto nuraghe La Prisciona.
Di fronte all’Arcipelago della Maddalena sorge la Roccia dell’Orso: spettacolare scultura naturale in forma di plantigrado col capo rivolto verso il mare, essa si erge a 122 m slm a vegliare sul vicino abitato di Palau. La roccia, che ha dato il nome al promontorio su cui sorge, è nota fin dall’antichità, come attesta il geografo greco Tolomeo già nel II secolo d.C.: egli racconta che la roccia incuteva paura ai naviganti perché in grado di attirare le navi con la forza di una grandissima calamita. Gli antichi marinai videro in questo monumento naturale la sagoma di un orso e lo citarono nei portolani come punto di riconoscimento, perché ben visibile dal mare. Il potenziale turistico attribuibile all’Orso di Palau è tra i più elevati dei monumenti naturali individuati in Sardegna e il suo promontorio è meta di escursioni per numerosi visitatori. La sua roccia granitica, scolpita nel corso dei secoli dai venti cui è particolarmente esposta, si presenta alterata in superficie: per questo è caratterizzata da un colore giallo-rosato. Nella zona circostante, per l'alto valore paesaggistico e geologico, è stata istituita una vasta area di tutela con il Parco Marino Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena. Il territorio su cui insiste la roccia granitica dell’Orso di Palau è interessante dal punto di vista archeologico: la presenza umana è testimoniata da alcune tombe in tafone e dall’industria litica di epoca neolitica ritrovata nelle vicinanze. Nel tratto di mare antistante sono stati poi rinvenuti numerosi relitti di navi onerarie di epoche diverse, che testimoniano un intenso traffico commerciale lungo la costa orientale della Sardegna. In particolare in prossimità dell’isola di Spargi, nell’Arcipelago della Maddalena, è stata rinvenuta una nave di epoca romana col suo intero carico, oggi ricostruita all’interno del Museo Navale “Nino Lamboglia” di La Maddalena.
Il monumento è accessibile attraverso un sentiero pedonale in buone condizioni, lungo circa 500 m, che parte dalla strada carrabile. La distanza dal centro abitato di Palau, che è il più vicino, è di 5,2 km.
Ai piedi della collina su cui sorge l’Orso si trova il Forte militare in disuso, costruito per la difesa delle Bocche. Il progetto di sistemazione dell’area, in via di dismissione da parte del Demanio militare, lo destina a struttura di accoglimento per i visitatori. Vi si potrebbe accogliere materiale didattico sull’erosione nei graniti, il che potenzierebbe l’uso culturale del monumento. Altri interventi (costruzione di muretti a secco e individuazione di un percorso pedonale) completeranno la sistemazione dell’area circostante.
Da Olbia si prende, in prossimità del porto marittimo Isola Bianca, la SS 125 in direzione di Santa Teresa Gallura. Si attraversa Arzachena e si prosegue sino all'incrocio con Palau ma, anziché svoltare per la SP 123, si svolta a s. immettendosi sulla SS 133 per Santa Teresa. Giunti all'altezza di un ristorante, si svolta a sinistra in una stradina asfaltata da percorrere sino ad incontrare un bivio da imboccare a s. Si procede per circa km 4,5 sino a raggiungere uno spiazzo dove si gira a d. seguendo le indicazioni per la tomba. Si lascia l'auto poco più avanti in uno spiazzo e si prosegue a piedi oltrepassando un cancello di legno. La tomba si trova a pochi metri dal cancello a s. del sentiero, all'interno di un recinto di pali di legno.
Il contesto ambientale
Il monumento sorge su un breve pianoro dominato dalle alture del Monte Cau, a pochi km dal mare, nella Gallura settentrionale.
Descrizione
La tomba, di piccole dimensioni, è costruita con tecnica a filari.
Il corpo tombale, rivolto ad E (lungh. m 7,25), contiene un corridoio funebre rettangolare (lungh. m 6,10; largh. m 0,90/1,00; alt. m 0,65) chiuso sul fondo da un'unica lastra di testata sagomata ad arco (largh. m 1,02; alt. m 0,95).
L'esedra si conserva solo in parte (corda m 12,76; freccia m 3,75): l'emiciclo è delimitato da lastre ortostatiche di dimensioni ridotte, alla base delle quali si sviluppa un basso bancone-sedile (largh. m 0,35; alt. m 0,25), anch'esso incompleto, destinato ad accogliere le offerte.
Il paramento murario posteriore dell'esedra si raccorda senza soluzione di continuità col corpo tombale.
Al centro dell'esedra si trova la stele monolitica (largh. m 1,55; alt. m 2,80; spess. m 0,25), di dimensioni ridotte rispetto agli esempi documentati in altre tombe galluresi e priva dello spartito centinato.
Il monolito poggia, privo di fondazioni, da un lato su una pietra piatta e dall'altro direttamente sul terreno. Il portello d'ingresso, semicircolare (largh. m 0,55; alt. m 0,66), presenta un elemento insolito, dovuto probabilmente ad un errore dei costruttori: l'accurata smussatura del profilo perimetrale della faccia interna; tale lavorazione è invece di norma riservata alla faccia esterna.
I materiali frammentari che provennero dal lato d. dell'esedra (tegami, olle, vasi con cordoni plastici applicati, tazze carenate) risalgono al Bronzo recente.
Storia degli scavi
Fu scavato nel 1966 da Editta Castaldi. Lo scavo interessò quanto restava della struttura dopo la sua demolizione, avvenuta nel 1918 per riutilizzare il materiale litico nella costruzione del vicino stazzo di Li Mizzani.
Bibliografia
E. Castaldi, "Tombe di giganti nel sassarese", in [i]Origini[/i], III, 1969, pp. 26-30, 52-53;
G. Lilliu, [i]La civiltà dei Sardi dal paleolitico all'età dei nuraghi[/i], Torino, Nuova ERI, 1988, p. 332;
E. Castaldi, "Tomba di giganti di Li Mizzani-Palau (SS)", in [i]Archeologia e territorio[/i], Nuoro, Ilisso, 1990, pp. 22-23.
Porto Puddu o Porto Pollo, tra Palau e Santa Teresa Gallura, è una grande insenatura di sabbia bianca circondata di macchia mediterranea nei pressi della foce del Liscia e dell'Isola dei Gabbiani, collegata alla terraferma da una sottile striscia di sabbia. Le spiagge di sabbia finissima, le calette rocciose riparate, le acque trasparenti e smeraldine, i colori e gli odori della macchia mediterranea ricca di lentisco e cisto, sono la caratteristica di questo tratto di costa settentrionale della Sardegna.. Il carattere ventoso della località, così come tutta questa zona della costa, attira una forte presenza di windsurfer e di velisti, per i quali la presenza di una scuola nelle vicinanze della spiaggia offre la possibilità di interessanti escursioni verso le isole circostanti. Le strutture ricettive, immerse in un ambiente di grande bellezza, rappresentano un'alternativa a costi minori rispetto a quelli prestigiosi della Costa Smeralda.
L'indicazione della spaiggia è ben segnalata sulla SS 133 bis, oltrepassando il ponte sul fiume Liscia.
La spiaggia è molto frequentata. Presenta un ampio parcheggio ed è adatta ai camper. Per i suoi bassi fondali è adatta al gioco dei bambini. È accessibile ai portatori di handicap. È possibile noleggiare ombrelloni e natanti. Nella zona sono presenti numerosi servizi quali bar, ristoranti, albergi e camping.
La spiaggia si trova nella località Porto Puddu, del comune di Palau. L'arenile si presenta con un fondo di sabbia piuttosto grossa di color crema. Un lungo cordone sabbioso, largo circa 50 metri, formato dalla foce del fiume Liscia, collega l'Isola dei Gabbiani, o Isuledda, alla terraferma. Di fronte all'arenile si può ammirare il panorama offerto dall'isolotto Cavalli e, in lontananza, dalle Isole Spargi, Spargiotto e Budelli, oltre alle coste della Corsica. Limitata da una parte dalla spiaggia dell'Arenaria, alla fine della spiaggia del Liscia, e dall'altra da quella di Porto Puddu, si presenta come un arenile dorato, circondato da un mare turchese e cristallino.
La spiaggia si trova nella località Porto Puddu nel comune di Palau. Ben segnalata, si arriva dalla SS 133 bis, superando il ponte sul fiume Liscia.
Esposta ai venti per quasi tutto l'anno, la spiaggia dell'Isola dei Gabbiani è il luogo ideale per chi pratica lo sport dello windsurf, sia a livello di principiante che come professionista, offrendo angoli di mare calmo ad ovest e parti molto ventose ad est. Oltre la vela, si praticano diversi tipi di sport, come il fun-board e il katesurf, che attirano campioni da diverse località europee. Il fondale poco profondo e digradante e le caratteristiche del suo arenile la rendono particolarmente adatta al gioco dei bambini. È presente un ampio parcheggio, adatto anche ai camper e un campeggio. La località è attrezzata con strutture adatte ai diversamente abili. Sono presenti bar e ristoranti, è possibile noleggiarvi ombrelloni, sedie a sdraio, patini e natanti. Il fondale ricco e variegato si presenta come il luogo ideale per le immersioni subacquee e lo snorkeling.
La torre di Longonsardo è raggiungibile dall'abitato di Santa Teresa Gallura: dalla piazza Vittorio Emanuele si percorre via XX Settembre, che conduce allo sperone roccioso sul quale sorge la torre.
Il contesto ambientale
Il fortilizio ha il nome di Longonsardo dall'omonimo castello trecentesco, distrutto nel 1422. Dopo la fondazione dell'abitato di Santa Teresa Gallura, nella prima metà del XIX secolo, ha assunto anche il nome di Torre di Santa Teresa.
La torre è situata nell'estremo N/E, fra le baie di Santa Reparata e di Porto Longone, e dominava l'intera insenatura, svolgendo funzioni di controllo dei traffici e garantendo la difesa contro gli assalti corsari. Nello stesso tempo, rappresentava un blocco alle possibili attività di contrabbando dalla Corsica.
Descrizione
La torre, in granito, è costituita da una struttura, che dalla base fino a metà altezza ha forma troncoconica, mentre nella parte superiore è cilindrica. Ha un diametro di 19 m alla base della scarpa e di 16,2 nel corpo cilindrico superiore, con altezza media di 11 m. L'accesso al corpo principale è situato a 6 m da terra e conduce alla casamatta, il grande vano cupolato a prova di bomba; questo ambiente ha un diametro di 10 m ed è sostenuto da un grande pilastro centrale. Speculare all'entrata vi è un'altra apertura, mentre alla d. è situata la scala, interna alla muratura, che conduce alla piazza d'armi.
Un primo sistema di vigilanza, a guardia del porto di Longonsardo contro il contrabbando e le escursioni barbaresche, fu istituito nel febbraio 1556; dopo poco tempo, però, si sentì la necessità, per un maggior controllo della zona, della realizzazione di una struttura difensiva. La torre fu edificata probabilmente entro il 1577, perché citata dalla Carta della Sardegna dell'architetto Rocco Capellino. Già alla fine del secolo il fortilizio subì i primi attacchi da parte dei pirati barbareschi.
Precedentemente al 1720 furono eseguiti dei mediocri interventi di restauro, che richiesero, successivamente, nuove riparazioni; soltanto nel 1777 fu eseguita una ristrutturazione generale, su progetto del capitano Cochis.
La torre è definita da documenti d'archivio "de armas", cioè "gagliarda", di difesa pesante; fra il 1767 e il 1794 è attestato un "alcaide", con un artigliere e quattro soldati.
Nel 1791 fu aggiunta, nella piazza d'armi, una mezzaluna, dalla forma a cupola, retta da una colonna e realizzata da travi in ginepro. All'interno di questa, con tramezzi in mattoni, furono ricavate delle stanzette per la guarnigione, ognuna dotata di caminetto e di feritoie per il fuoco di fucileria. Nella terrazza superiore, inoltre, fu aggiunta una garitta sporgente. Alla base della torre fu edificato, nel settore N, un rivellino, cioè una cinta muraria trapezoidale; al suo interno fu ricavata una caserma per i dragoni con alloggi, forno per il pane e una macina per il grano.
Nel giugno del 1802 la torre fu presa d'assalto e conquistata da rivoltosi Sardi e da alcuni provenienti dalla Corsica, comandati dal prete Sanna Corda; dopo una breve occupazione, le truppe regie attaccarono la fortezza e costrinsero alla resa i congiurati, poi condannati a morte.
Nella prima metà dell'Ottocento furono eseguite riparazioni d'ordinanza, finché nel 1842 non fu soppressa la Reale Amministrazione delle Torri. Quattro anni dopo la torre fu dismessa.
Negli anni trenta del Novecento crollarono le due garitte di guardia e, durante la seconda guerra mondiale, la torre divenne l'alloggio di un reparto di paracadutisti, che costruì la scalinata esterna. Attualmente non è più visibile la mezzaluna costruita nel 1791, mentre rimangono poche tracce del rivellino.
Storia degli studi
La torre è compresa nelle principali opere sulle fortificazioni costiere in Sardegna.
Bibliografia
E. Pillosu, [i]Le torri litoranee in Sardegna[/i], Cagliari, Tipografia La Cartotecnica, 1957;
E. Pillosu, "[i]Un inedito rapporto cinquecentesco sulla difesa costiera di Marco Antonio Camos[/i]", in Nuovo Bullettino Bibliografico Sardo e Archivio delle tradizioni popolari, V, 1959;
F. Fois, [i]Torri spagnole e forti piemontesi in Sardegna[/i], Cagliari, La Voce Sarda, 1981;
G. Montaldo, [i]Le torri costiere in Sardegna[/i], Sassari, Carlo Delfino, Sassari 1992;
F. Russo, [i]La difesa costiera del Regno di Sardegna dal XVI al XIX secolo[/i], Roma, Stato maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, 1992;
G. Montaldo, "[i]Forti e Torri Costiere[/i]", in Le Architetture fortificate della Sardegna centro-meridionale. Atti della Giornata di Studio, Cagliari 16 ottobre 1999;
M. Rassu, [i]Guida alle torri e forti costieri[/i], Cagliari, Artigianarte, Cagliari 2000.
Da Olbia, zona porto Isola Bianca, per Arzachena si percorre la SS 125 sino al bivio per Palau; all'incrocio si svolta a s. sulla SS 133, che si innesta direttamente sulla SS 133 bis da percorrere sino a Santa Teresa Gallura. Senza entrare nel paese, si imbocca a s. la strada per la baia di Santa Reparata, dove si trova il complesso nuragico.
Il contesto ambientale
L'area archeologica si sviluppa lungo le pendici di un promontorio granitico e sulla piana circostante, in prossimità della baia di Santa Reparata, nella costa N della Gallura.
Descrizione
Il complesso comprende un nuraghe con antemurale, un villaggio, una tomba di giganti, tafoni e ripari sotto roccia.
Il nuraghe, posizionato nel punto di massima elevazione, sfrutta i piani rocciosi per svilupparsi su livelli sfalsati. Invaso dal crollo, presenta elementi misti dell'architettura "a corridoio" e "a tholos". Il mastio, centrale è circondato da un antemurale di cui sono leggibili una cortina e due torri (quella S trasformata in età postmedievale in fornace per la calce). Un ingresso monumentale si apre nel versante NO della cortina.
Il crollo non consente di leggere lo sviluppo degli ambienti presenti dentro la cinta muraria.
Il villaggio, che nel 1967 presentava 36 capanne, oggi solo in parte visibili, si estende lungo il pendio e nella piana ad E e a S del nuraghe.
L'area scavata, ad E, ha posto in luce piccoli isolati di edifici tangenti o separati da stretti passaggi o vicoli ciechi.
Le capanne, generalmente curvilinee, si adattano alla morfologia rocciosa, spesso inglobando gli affioramenti, e presentano doppi paramenti murari; i blocchi, appena sbozzati o grezzi, sono disposti a filari regolari e legati con malta di fango (capanna 1: h pareti m 2,20-2,30).
Le coperture, coniche, erano rette da raggiere di travi e travetti cui si legavano altri elementi lignei trasversali. Questi sostenevano un incannicciato di fasci di cannette palustri convergenti verso il centro e ricoperti da uno strato di malta d'argilla che ne assicurava la coibentazione. Venivano poi sovrapposti altri fasci vegetali bloccati da piccole lastre calcaree.
I pavimenti erano in terra battuta o sfruttavano la roccia naturale.
Il villaggio mostra fasi di ristrutturazione e di ridistribuzione degli spazi, con aggiunta di vani per usi domestici specifici (capanna 2, produzione di ceramiche).
I reperti rinvenuti danno uno spaccato dell'economia del villaggio tra il XIV e il IX sec. a.C.: contenitori per derrate che attestano attività agricole, elementi di falcetti in ossidiana per la mietitura, recipienti per la bollitura e lavorazione del latte, bollilatte e scodelle multiforate per la produzione del formaggio. Numerosi anche i recipienti per la preparazione dei cibi e i supporti di spiedi. Gli avanzi di cibo indicano il consumo di bovini, ovicaprini, uccelli, patelle, pesci.
La tomba di giganti, di cui avanzano solo le fondazioni, si trova a SE del villaggio, sul limite del declivio. Un tempo maestosa, consta di un corpo tombale allungato con terminazione absidata e di un'esedra semicircolare. La muratura era probabilmente a filari.
Il corridoio tombale, trapezoidale (lungh. m 6,10; largh. m 1,10-0,85 ) volge l'ingresso a SE ed è delimitato da due stipiti sui quali in origine poggiava l'architrave.
Lo spazio antistante l'ingresso dell'esedra è pavimentato con lastre piatte, le parti restanti con un acciottolato.
Lo scavo del corridoio ha restituito circa 50 inumati in deposizione primaria, maschi e femmine. Sul fondo i resti scheletrici erano accumulati disordinatamente, evidentemente per la spinta prodotta dalla necessità di creare spazio per nuove inumazioni.
Nello spazio dell'esedra si svolgevano probabilmente i pasti funebri collettivi col successivo rito della frantumazione degli oggetti usati.
I materiali rinvenuti attestano l'uso della tomba tra il XIV e il X sec. a.C.
A circa 60 km a SE è situata una struttura circolare forse legata al rituale che precedeva l'inumazione nella tomba di giganti.
I tafoni e gli anfratti che si aprono nei massi granitici dei versanti O e SO del promontorio furono utilizzati in epoca nuragica come ripari e abitazioni e come luoghi di sepoltura.
Storia degli scavi
Fu indagata per la prima volta da Michele Careddu, nel 1967, nell'ambito di una ricerca di tesi. La tomba di giganti fu scavata negli anni ottanta; gli scavi del villaggio sono in corso, a cura di Angela Antona.
Bibliografia
A. Antona, "Una finestra sulle Bocche. Il complesso di Lu Brandali (Santa Teresa Gallura)", in [i]Almanacco Gallurese[/i], 2002-03, p. 87 ss.;
A. Antona, [i]Il complesso nuragico di Lu Brandali e i monumenti archeologici di Santa Teresa Gallura[/i], collana "Sardegna archeologica. Guide e Itinerari", Sassari, Carlo Delfino, 2005 [29].
La spiaggia di Rena di Levante si trova nella località di Capo Testa nel comune di Santa Teresa di Gallura. È una lunga e bianca distesa sabbiosa circondata da calette rocciose e dalla tipica macchia mediterranea. Per il mare azzurro e trasparente gli è stata assegnata la Bandiera Blu 2012. Sede dell’antica colonia romana di Tibula sono ancora visibili i vecchi tracciati stradali. Suggestive le formazioni granitiche a ridosso di Rena di Ponente: il vento, l’acqua e gli altri agenti atmosferici le hanno plasmate fino a formare dei cilindri molto simili a delle colonne romane.
Partendo dall’abitato di Santa Teresa Gallura si procede in direzione di Capo Testa per circa 3 km e si seguono le indicazioni per la spiaggia.
La spiaggia è particolarmente adatta alla balneazione dei bambini e permette escursioni subacquee estremamente suggestive. La spiaggia dispone inoltre di bar e nelle vicinanze sono presenti degli alberghi.
Cala Spinosa si trova nella località Capo Testa, nel comune di Santa Teresa Gallura. È una piccola e suggestiva spiaggia, all'interno di una cala profonda, posta a nord di Capo Testa, protetta da alte scogliere che si stagliano a strapiombo sul mare. I massi granitici arrotondati, che evocano figure varie, proteggono il piccolo arenile.
È raggiungibile seguendo le indicazioni per il faro di Capo Testa e percorrendo a piedi ripidi sentieri. L'arenile si presenta con un fondo di sabbia chiara mediamente fine che si alterna a rocce granitiche.
Il bellissimo fondale, che presenta scenari variegati ed incantevoli, costituisce un vero e proprio paradiso per gli amanti delle immersioni subacquee.
Rena Majori si trova nella località di Rena Majore, nel comune di Aglientu. L'arenile si presenta composto da un fondo di sabbia chiarissima, molto fine, circondato da scogli e rocce di granito. Attraversato dal Rio Cantaru e dal Rio Ciuchesa, l'esteso arenile di Rena Majori, sempre tranquillo e riparato è caratterizzato da una distesa di sabbia finissima, circondata dalle dune coperte di vegetazione e tempestata da scogli scuri, in mezzo ad un mare turchese e cristallino. La pineta alle sue spalle costituisce un tranquillo punto di frescura ed ombra nelle calde giornate estive.
Si arriva dalla SP 90, verso Santa Teresa Gallura. Dalla località di Rena Matteu, superato l'ingresso, si prende la deviazione a sinistra per circa 500 m.
Il fondale sabbioso digradante e le caratteristiche dell'arenile sono particolarmente adatti per la balneazione ed il gioco dei bambini. Sono presenti un ampio parcheggio e il campeggio. Si possono noleggiare ombrelloni, sedie a sdraio, natanti e patini. Il fondale variegato e ricco di pesci è molto apprezzato dagli amanti delle immersioni subacquee e dello snorkeling.
Per raggiungere la torre si lascia la strada litoranea che da Porto Torres arriva a Santa Teresa Gallura, e devia sulla s. per Vignola Mare al km 36. La torre si vede dal porto di Vignola, elevata sul promontorio e situata sulla riva sinistra del Rio Vignola. Per raggiungerla bastano 20 minuti.
Il contesto ambientale
La località, dove sorge il fortilizio, era compresa nel territorio della villa medievale di Vignola, ricostituita nel XIX secolo. Della Marmora sosteneva che il nome della località derivasse da Viniola, antica stazione termale romana.
La torre è a 25 m s.l.m. e permette un'ottima visuale sia sul mare sia sull'entroterra; era, inoltre, in contatto visivo con le torri di Capo Testa e la vedetta di Monte Rassu.
Descrizione
La torre ha forma troncoconica, altezza di 12 m e altrettanti di diametro. L'ingresso, aperto a S, è costruito con piedritti e architrave in pietra, ed è collocato a 5,35 m dal suolo. L'apertura porta ad una camera di 6 m di diametro, dotata di volta a cupola e sostenuta da un pilastro centrale. Questo ambiente costituiva la casamatta ed era diviso in tre settori con dei tramezzi; due di questi vani erano muniti di troniere e costituivano gli alloggi della guarnigione e dell'alcaide. La scala che conduce alla piazza d'armi si trovava sulla sinistra dell'ingresso ed era ricavata nella muratura interna. In questa terrazza si possono osservare alcune cannoniere, la garitta in muratura che proteggeva il boccaporto, più altre due in diverse posizioni. La torre è stata realizzata in conci irregolari di granito di media pezzatura; il paramento murario è ormai visibile per il crollo dell'intonaco originale. Lo spessore del parapetto, misurato nelle aperture delle cannoniere, è di 95 cm .
Nel 1572 sorse un primo sistema di guardia e avvistamento della zona nel porto di Vignola, con uomini pagati dai villaggi di Bortigiadas e di Vignola. Alla fine del secolo, con la creazione della tonnara, si rese però necessaria la costruzione di una torre. La torre fu iniziata nel 1605 e nel settembre dello stesso anno fu nominato il primo alcaide. Negli stessi anni, l'affittuario della vicina tonnara fu autorizzato a costruire a proprie spese un rivellino. Il fortilizio era definito "Torre de Armas", cioè "gagliarda", atta alla difesa pesante; infatti, durante il XVIII secolo era provvista di un alcaide, di un artigliere e di tre soldati. Nel secolo successivo la guarnigione si ridusse al solo alcaide e due torrieri.
Da alcuni documenti si ricava che nel 1720 fu restaurata e nel 1777, su progetto del Capitano Cochis, fu sottoposta ad un ulteriore intervento di risanamento. Nuove sistemazioni, inoltre, furono eseguite fra il 1827 e il 1828.
La torre rimase in attività sino alla soppressione della Reale Amministrazione delle Torri; successivamente, ancora presidiata, le fu aggiunta una scala in muratura che conduce al boccaporto.
Storia degli studi
La torre è compresa nelle principali opere sulle fortificazioni costiere in Sardegna.
Bibliografia
A. Della Marmora, [i]Itinerario dell'Isola di Sardegna[/i], Cagliari, Alagna, 1868;
F. Fois, [i]Torri spagnole e forti piemontesi in Sardegna[/i], Cagliari, La Voce Sarda, 1981;
G. Montaldo, [i]Le torri costiere in Sardegna[/i], Sassari, Carlo Delfino, Sassari 1992;
F. Russo, [i]La difesa costiera del Regno di Sardegna dal XVI al XIX secolo[/i], Roma, Stato maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, 1992;
G. Montaldo, "[i]Forti e Torri Costiere[/i]", in Le Architetture fortificate della Sardegna centro-meridionale. Atti della Giornata di Studio, Cagliari 16 ottobre 1999;
M. Rassu, [i]Guida alle torri e forti costieri[/i], Cagliari, Artigianarte, Cagliari 2000.
Per raggiungere Luogosanto si percorre la SS 133 da Tempio Pausania in direzione Palau. Al km 22 si trova il bivio per il paese, raggiungibile dopo qualche km. Appena superato l'abitato, si incontra il colle di San Leonardo, in cima al quale sorge il castello omonimo o di Balaiana.
Il contesto ambientale
I ruderi del castello si elevano su un affioramento di rocce granitiche, ricoperte da macchia mediterranea. A pochi metri dalle strutture militari si trova la chiesa di San Leonardo, che ha dato il nome al colle. Il castello è detto di Balaiana dal nome dei Balari, una delle popolazioni autoctone che abitavano la Sardegna, presumibilmente la Gallura, prima della conquista romana.
Descrizione
Il castello di Balaiana, affascinante per via del pittoresco inserimento nel paesaggio, è tra le fortificazioni isolane di più antica attestazione. Si hanno sue notizie nel "Condaghe di Santa Maria di Bonarcado", dove risulta intorno al 1130 una disputa tra il sovrano di Gallura Costantino e i figli del suo predecessore, proprio per il possesso dell'edificio fortificato.
Si individuano i resti di un ambiente rettangolare e di una torre, racchiusi dai resti di una cinta muraria che presumibilmente doveva recingere e difendere la fortificazione. Nulla si può dedurre circa gli ambienti interni alla cinta di mura, distrutti da crolli e frane. La chiesa di San Leonardo doveva svolgere funzione di cappella palatina.
La peculiarità del castello di San Leonardo risiede nella tecnica costruttiva, interamente in granito, messo in opera per mezzo di una serie di incastri che prescindono da malta o calce. Le mura sono a doppia cortina, realizzate con filari di conci squadrati sia internamente sia esternamente, con riempimento di pietrame minuto privo di qualunque tipo di legante. Gli spigoli sono rinforzati da grossi blocchi sagomati [i]ad hoc[/i].
Da Tempio Pausania si percorre la SS 133 sino a Luogosanto, si prende la strada per Arzachena e la si percorre per circa 1 km, quindi svoltare sulla s. seguendo le indicazioni.
Il contesto ambientale
Il sito è immerso nella vegetazione, in località Santu Stevanu.
Descrizione
Le indagini archeologiche hanno consentito l'individuazione di tre unità principali: il complesso edilizio che comprende il cosiddetto Palazzo di Baldu e gli edifici ad esso pertinenti; la chiesa di Santo Stefano; la fornace.
Il nucleo più vasto (1600 mq circa) è costituito da 16 ambienti a pianta rettangolare che formano un recinto pentagonale attorno ad un ampio cortile (780 mq circa), verso il quale erano rivolti gli ingressi.
La parte S/E del piazzale interno è occupata dalla costruzione a pianta quadrilatera (m 9,20 per lato), di cui si conservano i muri perimetrali per circa 10 m di altezza, articolata in origine su tre piani e dotata di un terrazzo, provvista di una scalinata esterna per raggiungere l'accesso principale e di un basamento a scarpa. La tecnica edilizia con cui è stato realizzato indicano notevole perizia costruttiva e richiamano le chiese romaniche in granito della Gallura e della Corsica.
Lo scavo della piccola costruzione a pianta circolare, ubicata circa 25 m a S della chiesa di Santo Stefano, ha restituito una fornace, utilizzata per la cottura di materiale fittile. La struttura, di circa 3 m di diametro, risulta realizzata con piccole pietre di granito e, in alcune parti, con mattoni. Numerosi scarti di lavorazione, soprattutto coppi rovinati da una cattiva cottura, sono stati ritrovati in prossimità dell'impianto artigianale.
L'analisi dei manufatti ha permesso di accertare l'importazione di prodotti ceramici da diverse aree del bacino del Mediterraneo. Oltre ad oggetti ceramici realizzati in loco o in ambito regionale, la stratigrafia ha restituito manufatti prodotti in Toscana, Liguria, Spagna e Islam occidentale tra il XII ed il XV secolo.
I reperti forniscono indicazioni utili per risalire alla funzione dei diversi vani dell'isolato: per esempio in un vano della zona N/E si è riscontrata una forte concentrazione di chiodi e punteruoli in ferro; invece l'ambiente adiacente, collegato direttamente con l'esterno del complesso ha restituito staffe e finimenti per cavalli. In altre costruzioni erano presenti oggetti come lampade vitree decorate, che potrebbero indicare una condizione sociale elevata per i proprietari della residenza.
La Baia delle Mimose è una distesa di sabbia candida con un mare celeste e incorniciata da dune sulle quali sorge la vegetazione costiera. L'ampiezza del litorale unita allo splendore del mare, fa sì che questa località sia piuttosto frequentata. Le rive basse e sabbiose sono l'ideale per i giochi dei bambini, mentre la superficie marina si lascia solcare dalle tavole da surf e windsurf.
La Baia delle Mimose si trova a Badesi. È raggiungibile percorrendo la Strada Statale 134 e imboccando la deviazione in direzione Valledoria. Superato il centro urbano, a 1 km dal paese, prima del cimitero, si svolta a destra verso il mare. Dopo 150 metri si gira di nuovo a destra seguendo le indicazioni per il fiume Coghinas.
Vi si trova un ampio parcheggio e altri servizi, quali albergo, bar e ristorante. È possibile noleggiarvi pattini e navigare alla scoperta di questo splendido tratto costiero. La spiaggia è di agevole accesso per i diversamente abili.